L’estinzione di una società di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, segna formalmente la fine della sua esistenza giuridica. Ai sensi dell’articolo 2495 del Codice civile, la cancellazione determina la perdita della personalità giuridica e la conseguente impossibilità per la società di essere parte di rapporti o giudizi. Tuttavia, la chiusura formale dell’ente non comporta necessariamente la scomparsa dei rapporti giuridici a essa riferibili. È ormai principio consolidato che l’estinzione non determina l’estinzione dei diritti o dei debiti ancora pendenti, ma ne comporta il trasferimento in capo ai soci, secondo un meccanismo di successione particolare che la giurisprudenza ha progressivamente delineato.
Negli ultimi anni, e fino alle pronunce più recenti del 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito e precisato l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6070 del 2013. Secondo tale indirizzo, con la cancellazione della società i rapporti non definiti non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci: quelli attivi diventano oggetto di una comunione tra gli ex soci, mentre le obbligazioni residue si convertono in debiti personali dei soci stessi, limitatamente a quanto da ciascuno riscosso nel corso della liquidazione. L’estinzione, dunque, non comporta un annullamento delle posizioni giuridiche, bensì una successione a titolo universale sui generis, che si fonda su un principio di continuità sostanziale dei rapporti.
Da ciò discende che, quando l’estinzione interviene nel corso di un processo, il giudizio non si arresta definitivamente. La società, non più esistente, non può certo essere parte, ma la causa può essere proseguita o riassunta nei confronti dei soggetti che ne sono succeduti: gli ex soci, nei limiti della loro responsabilità patrimoniale, e, ove sussista colpa nella gestione della liquidazione, il liquidatore. Si tratta di una successione processuale che riflette quella sostanziale, e che consente di evitare che la cancellazione venga utilizzata come strumento per eludere obbligazioni o sottrarsi alla definizione delle liti in corso.
La Cassazione ha più volte chiarito che l’evento estintivo deve essere dichiarato e notificato al giudice e alle controparti, affinché il processo venga interrotto e successivamente riassunto entro i termini di legge. In mancanza, la prosecuzione del giudizio nei confronti della società estinta è nulla, ma la nullità può essere sanata se gli ex soci partecipano comunque al processo, accettando implicitamente la loro qualità di successori. Sul piano pratico, dunque, la morte della società non comporta la morte del processo: la controversia sopravvive e si trasferisce ai soci, in una sorta di prosecuzione “in vita riflessa” della persona giuridica ormai estinta.
Questo meccanismo trova applicazione non solo nei giudizi civili, ma anche nei procedimenti tributari, amministrativi e fallimentari. In particolare, la Corte di Cassazione tributaria ha ribadito che l’estinzione della società non estingue automaticamente i debiti fiscali, che restano esigibili nei confronti dei soci, sempre nei limiti di quanto riscosso. Analogamente, nel contenzioso civile, un creditore può proseguire o instaurare un’azione di condanna direttamente nei confronti dei soci, senza necessità di un nuovo giudizio, purché rispetti i limiti di responsabilità patrimoniale derivanti dalla liquidazione.
La posizione del liquidatore, invece, è differente. Egli può essere chiamato a rispondere in via personale qualora non abbia provveduto al pagamento dei debiti sociali pur disponendo delle risorse necessarie, oppure se non abbia correttamente informato i creditori della chiusura della liquidazione. In tal caso, la sua responsabilità ha natura extracontrattuale e si fonda su un principio di colpa nella gestione della fase estintiva.
Sul piano teorico, la costruzione giurisprudenziale della “sopravvivenza riflessa” della società estinta rappresenta un compromesso tra esigenze di certezza giuridica e tutela dei terzi. Da un lato, si riconosce l’effetto estintivo della cancellazione, coerente con il dato formale del registro delle imprese; dall’altro, si evita che tale effetto diventi uno strumento di ingiustificata impunità per debiti non onorati o per liti non concluse. È un bilanciamento tra forma e sostanza, che rispecchia la tendenza del diritto societario contemporaneo a privilegiare la continuità dei rapporti e la responsabilità effettiva delle persone che traggono beneficio dall’attività sociale.
In definitiva, anche nell’autunno del 2025, la linea interpretativa è ormai chiara e consolidata: l’estinzione della società non chiude i conti con il passato. I processi proseguono, i diritti sopravvivono e le obbligazioni si riversano, nei limiti di legge, su coloro che ne erano parte sostanziale. La cancellazione dal registro delle imprese segna la fine di un soggetto giuridico, ma non sempre la fine della sua storia giuridica: quella, spesso, continua nei tribunali, per mano dei suoi ex soci e del suo liquidatore.

