La Legge 5 febbraio 1992, n. 104, rappresenta il pilastro normativo italiano per la tutela dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Essa si fonda sui principi costituzionali di uguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2), dignità della persona (art. 2 e 32) e solidarietà familiare e sociale (art. 29 e 38). Tra le disposizioni più rilevanti in ambito lavoristico, spicca l’art. 33, che disciplina il diritto dei lavoratori dipendenti a beneficiare di permessi retribuiti per assistere familiari con disabilità grave.
Tuttavia, negli ultimi anni, si è assistito a un crescente contenzioso in materia di licenziamenti riconducibili, in modo diretto o indiretto, alla fruizione dei benefici previsti dalla Legge 104, sollevando questioni cruciali sul piano della tutela del lavoratore caregiver, della libertà di autodeterminazione e del divieto di discriminazione nel rapporto di lavoro.
Il quadro normativo: permessi e diritti del lavoratore caregiver
L’art. 33, comma 3, della Legge 104/1992 prevede che il lavoratore dipendente pubblico o privato che assiste una persona con handicap in situazione di gravità (accertata ai sensi dell’art. 3, comma 3) abbia diritto a tre giorni mensili di permesso retribuito, anche frazionabili in ore. Tali permessi sono coperti da contribuzione figurativa e non incidono negativamente né sulla progressione di carriera né sul trattamento retributivo.
Requisiti fondamentali per l’esercizio del diritto sono:
- Il vincolo di parentela o affinità entro il secondo grado (estensibile in alcuni casi al terzo grado);
- La convivenza (requisito previsto per alcuni benefici, ma non per i permessi retribuiti se il disabile è coniuge, figlio o genitore);
- La unicità del soggetto assistente (in caso di più richiedenti si applica il principio dell’alternanza).
Il divieto di licenziamento ritorsivo e discriminatorio
Sul piano giuridico, è consolidato l’orientamento secondo cui l’esercizio legittimo di un diritto non può mai costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento. Ne consegue che il recesso datoriale intimato a causa della fruizione dei permessi ex Legge 104 – o comunque per ragioni connesse all’attività di assistenza – è da ritenersi illegittimo.
In particolare, il licenziamento può essere qualificato come:
- Ritorsivo, se si configura come reazione del datore di lavoro all’esercizio di un diritto legittimo da parte del dipendente;
- Discriminatorio, se fondato su motivazioni legate allo stato di famiglia, alla condizione personale o alla disabilità altrui, in violazione dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) e del D.lgs. 216/2003, attuativo della Direttiva 2000/78/CE.
In entrambi i casi, si applicano le sanzioni più gravi previste dal sistema lavoristico: la nullità del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 18, co. 1-4, dello Statuto dei Lavoratori, o dell’art. 2 del D.lgs. 23/2015 (nei contratti a tutele crescenti).
L’orientamento della giurisprudenza
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto che la fruizione dei permessi ex Legge 104 costituisce un diritto soggettivo pieno, e come tale non può essere sindacato dal datore di lavoro, se non nei casi in cui si accerti un abuso del diritto o un uso fraudolento.
Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 25597/2017
La Suprema Corte ha chiarito che il licenziamento intimato in connessione causale con la fruizione dei permessi retribuiti è radicalmente nullo, poiché integra una condotta discriminatoria vietata dall’ordinamento.
Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 4069/2018
La Corte ha ribadito che la finalità assistenziale del permesso è presunta, salvo prova contraria del datore di lavoro. Il lavoratore non è tenuto a giustificare ogni minuto di assenza, né a dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attività di cura in senso stretto.
Tribunale di Roma, sent. 17 ottobre 2023
Un licenziamento comminato a una dipendente che assisteva il padre invalido è stato annullato per violazione del divieto di discriminazione indiretta. Il giudice ha evidenziato come il comportamento del datore fosse «motivato da una valutazione negativa della condizione personale della lavoratrice e dell’impatto sull’organizzazione del lavoro della sua attività di caregiver».
Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 2157 del 30 gennaio 2025
La Corte ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa nei confronti di un lavoratore che aveva utilizzato i permessi per attività personali, senza alcun collegamento con la cura del familiare disabile.
Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 5948 del 6 marzo 2025
Nel caso in cui il familiare assistito fosse ricoverato in RSA in regime continuativo, la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti per i permessi 104, confermando la validità del licenziamento.
Abuso dei permessi: profili disciplinari e limiti della tutela
Va tuttavia precisato che l’abuso dei permessi può costituire giusta causa di licenziamento, come confermato da numerose sentenze. Il comportamento illecito – ad esempio, utilizzare i giorni di permesso per scopi estranei all’assistenza – integra una violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.), e può configurare anche il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 c.p.).
È dunque legittimo il licenziamento del lavoratore che simuli l’assistenza o utilizzi in modo fraudolento il diritto riconosciutogli dalla legge. Tuttavia, la prova dell’abuso grava interamente sul datore di lavoro, che non può procedere al licenziamento sulla base di sospetti o mere presunzioni.
Conclusioni
La fruizione dei permessi retribuiti ex Legge 104/1992, da parte del lavoratore caregiver, costituisce un diritto fondamentale connesso alla tutela della salute, della dignità e dell’inclusione sociale delle persone disabili. Qualsiasi condotta datoriale che ne ostacoli l’esercizio – o, peggio, che sanzioni tale fruizione con provvedimenti espulsivi – viola principi costituzionali, normativi e giurisprudenziali consolidati.
Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio legato alla Legge 104 non è soltanto illegittimo, ma radicalmente nullo, con obbligo per il datore di reintegrare il lavoratore e risarcirlo del danno. L’ordinamento, pur tutelando l’organizzazione imprenditoriale, non consente sacrifici dei diritti fondamentali del lavoratore, specie quando in gioco vi sono esigenze di assistenza e cura verso soggetti vulnerabili.
Il bilanciamento tra impresa e solidarietà familiare, quindi, si realizza nel rispetto del diritto del lavoro come diritto costituzionalmente orientato, fondato sulla centralità della persona anche nella dimensione lavorativa.