Il 17 settembre 2025 rappresenta una data spartiacque per il diritto e per la professione legale in Italia. In quel giorno, il Senato ha approvato in via definitiva il Disegno di Legge n. 1146, presentato dal Governo Meloni nel maggio 2024, dando vita alla prima legge quadro nazionale sull’Intelligenza Artificiale. L’Italia è così il primo Paese europeo ad aver varato una normativa organica e sistematica sul tema, anticipando l’entrata in vigore dell’AI Act dell’Unione Europea prevista per il 2026.
La portata innovativa di questa legge non risiede soltanto nel contenuto tecnico delle disposizioni, ma soprattutto nell’approccio adottato dal legislatore: per la prima volta, l’uso dell’Intelligenza Artificiale viene disciplinato in maniera trasversale, toccando profili che spaziano dall’attività giudiziaria alle professioni intellettuali, dal diritto penale alla tutela del diritto d’autore, con una chiara filosofia di fondo: la tecnologia deve rimanere strumento al servizio dell’essere umano e non surrogato della sua funzione decisionale.
Un approccio antropocentrico e i principi fondamentali
Il filo conduttore della normativa è l’impostazione antropocentrica. L’AI non è vista come entità autonoma, ma come mezzo che deve coadiuvare l’attività dell’uomo, rispettandone la centralità. In quest’ottica, il legislatore ha fissato una serie di principi generali che devono orientare l’impiego delle tecnologie intelligenti in tutti i settori: trasparenza, proporzionalità, sicurezza, protezione dei dati personali, accuratezza, non discriminazione e sostenibilità.
Per gli avvocati e, più in generale, per i professionisti intellettuali, questo “decalogo” rappresenta la cornice valoriale entro la quale muoversi. L’introduzione di tali principi avrà infatti un impatto diretto sulle modalità operative degli studi legali, imponendo nuove cautele sia nella selezione dei fornitori tecnologici sia nell’utilizzo quotidiano di piattaforme e software.
L’articolo 12: l’AI come supporto e non come sostituzione
La disposizione di maggiore interesse per la professione forense è l’articolo 12, che disciplina espressamente l’impiego dell’AI da parte dei professionisti. La norma stabilisce che i sistemi intelligenti possano essere utilizzati esclusivamente per attività strumentali e di supporto, lasciando sempre prevalente l’apporto intellettuale umano.
Si tratta di un punto dirimente: la legge esclude che l’AI possa sostituire l’avvocato nella valutazione dei fatti, nell’interpretazione giuridica e nella definizione della strategia difensiva. L’uso consentito riguarda attività come:
- ricerche giurisprudenziali avanzate, rese possibili da algoritmi in grado di scandagliare migliaia di sentenze in tempi rapidissimi;
- redazione automatizzata di atti standard attraverso modelli e template intelligenti adattabili al caso concreto;
- analisi contrattuale per l’individuazione di clausole rischiose o anomale;
- due diligence documentale, specie in operazioni societarie di grandi dimensioni;
- gestione interna dello studio, dall’organizzazione delle scadenze alla pianificazione dell’agenda.
L’avvocato rimane, dunque, insostituibile nell’attività di consulenza, nell’elaborazione della strategia processuale e nella difesa in giudizio. L’AI è un alleato, non un concorrente.
Obblighi di trasparenza e diritto all’informazione tecnologica
Sempre l’articolo 12 introduce un obbligo che inciderà profondamente sull’assetto deontologico della professione: l’avvocato è tenuto a informare il cliente, con linguaggio chiaro, semplice ed esaustivo, circa l’utilizzo di sistemi di AI nello svolgimento della prestazione.
Si configura così un vero e proprio diritto all’informazione tecnologica del cliente, che non potrà più ignorare gli strumenti impiegati dal professionista. L’avvocato, dal canto suo, dovrà adeguare i contratti di incarico professionale e le informative, esplicitando l’eventuale ricorso a strumenti di AI e le modalità di utilizzo. È una svolta culturale oltre che giuridica: il rapporto fiduciario si rafforza attraverso la trasparenza, impedendo che l’innovazione tecnologica diventi un “segreto d’ufficio” poco comprensibile al cliente.
L’uso dell’AI nell’attività giudiziaria
Altro capitolo di grande rilievo è l’articolo 14, che disciplina l’impiego dell’AI da parte della magistratura e degli uffici giudiziari. Le funzioni consentite sono circoscritte: organizzazione e semplificazione del lavoro, ricerca giurisprudenziale e dottrinale, supporto amministrativo e gestionale.
Il legislatore, con una scelta chiara e netta, ribadisce che restano in ogni caso riservati al magistrato l’interpretazione della legge, la valutazione dei fatti e delle prove, nonché l’adozione di provvedimenti. È un presidio a garanzia dell’indipendenza della funzione giudiziaria e un riconoscimento del carattere umano e insostituibile della decisione giudiziaria.
Le nuove responsabilità penali e civili
La legge interviene anche sul piano repressivo. L’articolo 25 introduce un’aggravante specifica per i reati commessi mediante l’impiego di sistemi di AI quando tali strumenti abbiano costituito un mezzo insidioso o abbiano aggravato le conseguenze dell’illecito.
Di grande impatto è, inoltre, l’introduzione nel Codice penale dell’articolo 612-quater, che sanziona la diffusione illecita di contenuti generati o manipolati tramite AI, i cosiddetti deepfake. La pena prevista è la reclusione da uno a cinque anni. La norma colpisce fenomeni sempre più diffusi e pericolosi, con ricadute che vanno dalla tutela della reputazione personale alla prevenzione di manipolazioni politiche e campagne di disinformazione.
Diritto d’autore e AI: l’articolo 24
La normativa affronta anche il tema complesso della proprietà intellettuale nell’era digitale. L’articolo 24 chiarisce che le opere generate con AI possono essere protette dal diritto d’autore solo se frutto del lavoro intellettuale di un autore umano. La paternità intellettuale, quindi, non può essere attribuita alla macchina.
Per gli studi legali, questo principio significa che l’elaborazione di pareri, contratti o atti svolta con il supporto di sistemi intelligenti resta di piena titolarità del professionista, che deve poter dimostrare il proprio contributo creativo. È una disposizione destinata ad avere ricadute pratiche rilevanti, soprattutto laddove si faccia uso di piattaforme che generano testi complessi a partire da input minimi.
Formazione obbligatoria e nuovi criteri di compenso
Un ulteriore elemento innovativo è rappresentato dall’articolo 22. La norma stabilisce che gli ordini professionali dovranno attivare percorsi di formazione obbligatoria sull’uso dei sistemi di AI. Non si tratta più di un’opportunità facoltativa, ma di un obbligo di legge che entrerà a far parte a pieno titolo della formazione continua degli avvocati.
Interessante anche la previsione di un equo compenso modulabile in base ai rischi e alle responsabilità derivanti dall’uso dell’AI. È il riconoscimento che l’impiego di queste tecnologie introduce nuovi profili di rischio professionale e richiede quindi una remunerazione adeguata alle competenze tecnologiche acquisite.
Il coordinamento con l’AI Act e le prospettive europee
Infine, la legge italiana si inserisce in un più ampio processo di armonizzazione normativa a livello europeo. L’articolo 22 prevede espressamente una delega al Governo per adeguare costantemente la normativa nazionale alle evoluzioni dell’AI Act, garantendo coerenza ed evitando il rischio di frammentazioni.
L’Italia si propone così come Paese apripista, offrendo un modello che potrebbe essere preso a riferimento anche dagli altri Stati membri.
Conclusioni: un’opportunità per la professione forense
La nuova legge sull’Intelligenza Artificiale segna l’inizio di una stagione di profonda trasformazione per la professione forense. Per gli studi legali, essa comporta una serie di conseguenze concrete: investimenti obbligatori in formazione, revisione dei contratti professionali, aggiornamento delle procedure interne e valutazione attenta dei fornitori tecnologici.
L’AI, però, non è una minaccia. Essa rappresenta piuttosto un’occasione di evoluzione, capace di liberare i professionisti da attività ripetitive e a basso valore, per permettere loro di concentrarsi su ciò che costituisce il cuore della professione: la consulenza strategica, l’interpretazione creativa del diritto, la difesa dei diritti fondamentali.
Con questa normativa, l’Italia non solo si dota di un quadro giuridico moderno e innovativo, ma traccia anche una via che potrebbe diventare punto di riferimento a livello europeo. Per gli avvocati, la sfida è ora duplice: padroneggiare le nuove tecnologie e garantire, al contempo, piena conformità alle regole già operative. Una sfida che, se raccolta, potrà trasformarsi in un’occasione straordinaria di crescita e di rafforzamento della professione legale nell’era digitale.

